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e messone in serbo tutti i grani, divisai di seminarli un’altra volta nella speranza di averne col tempo una ricolta sufficiente per provvedermi di pane. Ma ci vollero quattro anni prima ch’io potessi far conto su la più piccola quantità di quel grano per cibarmene, e ciò ancora con molto risparmio, come lo dirò in appresso quando ne verrà l’occasione; perchè andò perduto quasi interamente quello che seminai la prima volta per non avere io colto il vero tempo e per averlo consegnato alla terra prima della stagione asciutta, onde non venne mai a maturità, almeno in quella copia che poteva sperarsi altrimenti; ma di ciò parleremo a suo luogo.

Oltre all’orzo, scopersi, come ho detto, venti o trenta steli di riso che colsi con la stessa premura e che adoperai nella stessa maniera e col medesimo fine, vale a dire di farmi del pane o piuttosto di ritrarne nudrimento; perchè trovai modo di cuocerlo senza metterlo al forno, benchè in appresso mi fabbricassi anche un forno. Ma torniamo al mio giornale.



Il tremuoto.



D

opo avere faticato instancabilmente tre o quattro mesi per vedere a termine il mio baluardo, lo chiusi ai 14 di aprile; e volli entrarvi non per una porta, ma passando al di sopra del muro mercè una scala, affinchè al di fuori non comparisse alcun indizio della mia abitazione.

16. aprile. Terminai la mia scala, mediante la quale salii alla sommità del baluardo, indi me la tirai dietro lasciandola tra esso e la palizzata. Io mi avea quindi assicurata una perfetta chiusura; perchè nell’interno aveva spazio abbastanza e nulla potea venire a me dal di fuori senza scalare il mio baluardo.

Dal 17 al 21. Nel seguente giorno, poichè la scala fu terminata,