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o due bariletti come precedentemente osservai; ma non giunsi mai alla capacità di farmene uno sol modello di quelli, ancorchè intorno a ciò impiegassi parecchie settimane; non potei nè connetterne i piani nè unirne le doghe una all’altra con tanta saldezza che giungessero a contenere l’acqua; a quest’opera dunque io rinunciai.

Era per me una grande disgrazia anche di non aver candele. Non appena il giorno imbruniva, il che accadeva generalmente verso le sette ore, mi conveniva andarmene a letto. Mi ricordava allora quel pane di cera onde mi fabbricai candele nella mia spedizione africana; ma adesso quel pane non ci era: l’unico rimedio che ci trovai fu quello, avendo un giorno ammazzato una capra, di serbarne il grasso; pertanto mi feci un piattello di creta che seccai al sole; indi posto entro esso e il grasso ed un lucignolo che mi feci di alcune corde sfilate, me ne formai una lampada che mi dava luce fino ad un certo segno, non mai per altro limpida e ferma siccome quella di una candela.




Grata sorpresa.



N

ella durata di tutti i descritti lavori mi era occorso, frugando le cose mie, di rinvenire un sacchetto che, come accennai tempo prima, era stato empiuto di grano per nutrire i polli del vascello, non già per questo viaggio, ma prima, come io suppongo, quando lo stesso vascello si partì da Lisbona. La picciola quantità di grano rimasta nel sacchetto era stata mangiata tutta dai sorci, onde io non ci vidi nulla fuorchè pule di grano e polve. Desideroso di valermi dello stesso sacchetto a qualche altro uso (credo per metterci della polvere, quando la separai in più partite per la paura del lampo, o per non so qual altro fine) ne