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Un dispaccio dell’arciduca, datato d’Innsbruck 19 maggio, esprime al vescovo il dispiacere circa i tumulti dei villani che minacciavano Trento; aver esso scritto al vicerè affinchè accorra con pronto ajuto, ma rincrescergli di non essere in grado di soccorrerlo nel modo che bramerebbe; finisce col mettere a disposizione del vescovo una cavallina che aspettava dal Mantovano. Del detto giorno è pure la lettera di Giovanni Parisi, con cui dà parte al prelato, essere venuti venti uomini di Molveno e di Andelo, contea di Belforte, alla canonica del Banale per ispogliarla; ma, accorso egli in ajuto con alcuni uomini, li abbia obbligati a sloggiare a forza di buone parole e di minaccie; avere per altro inteso a Belforte, da uno di lungo l’Adige, che i tumultuanti si erano proposto di volgersi in pochi giorni verso Riva e di volere a ogni costo esso vescovo nelle mani. Nel medesimo giorno il vescovo Bernardo scrive ai Consoli di Trento che, essendosi divulgato malignamente nelle Giudicarie, per eccitar quelle genti a sommossa, che la sua città capitale si era ribellata, assicurino tosto del contrario i Giudicariesi; aggiungendovi le espressioni di fedeltà al loro vescovo e signore, manifestate nella lettera dei 18 maggio, e da lui gradite sommamente. Diffatti li 20 maggio i Consoli informano i Giudicariesi della falsità di quella voce e della loro intenzione di esser fedeli. Intanto però i contadini anelavano di dare il sacco alla città, accorrendo a torme, armati di mannaje, di martelli, di forche, di fionde, da ogni parte, ma specialmente dalla valle Lagarina, da quelle di Rendena e del Sarca, dalle terre dei