Avventure di Robinson Crusoe/Il traduttore

Il traduttore

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Daniel Defoe - Avventure di Robinson Crusoe (1719)
Traduzione dall'inglese di Gaetano Barbieri (1842)
Il traduttore
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IL TRADUTTORE



P
remetter lodi all’opera inglese di cui presento or la versione, sarebbe cosa affatto superflua. Chi non ha letto almeno una volta in sua gioventù il Robinson Crusoe? Chi non ricorda volentieri nell’età matura le care impressioni che ne ritrasse sin dall’infanzia? Non v’è quasi grande autore o filosofo che ove parli dell’uomo della natura o dell’onnipotenza dell’industria umana posta alle più dure prove, non citi or Venerdì, or Robinson col suo ombrello, or la scranna e le tavole che si fabbricava nella deserta sua isola. Si parla di Robinson come quasi si parlerebbe di Cook e di Laperouse. Pochi nella generalità sanno che sia vissuto Daniele de Foe, autore di questa storia e di altre prose e poesie reputate, di cui daremo qualche cenno in fine di questa edizione. Tutti s’immaginano di conoscere Robinson Crusoe.

Tanto più straordinaria apparisce una fortuna sì segnalata e durevole della predetta opera che, quando uscì, non erano molti fuori dall’Inghilterra i quali conoscessero la lingua inglese in [p. x modifica]cui fu scritta; e tale imperizia trapela da una gran parte delle versioni che ne sono state date fin qui; pur questa circostanza medesima non ne ha scemato lo spaccio.

Ma diminuisce la meraviglia in chi, dotto nell’inglese favella, sa che la lindura dello stile non è nemmeno il pregio del testo originale. Ne sono pregio la naturalezza delle immagini, l’ingenuità delle descrizioni, l’interesse mantenuto costantemente nei leggitori e queste prerogative sono tanto più da apprezzarsi, poichè non le fa splender meno la trasandatura abituale dell’autore che, o credesse dar maggiore verisimiglianza alle cose narrate, o non curasse, o non sapesse far meglio, perchè uomo dell’infimo volgo ed educatosi quasi affatto da sè medesimo, stendeva le sue relazioni come avrebbe tenuto uno zibaldone per aiuto della sua memoria soltanto, e come se nessuno avesse dovuto mai leggerlo. Perciò, se non bastava che ripetesse talvolta le cose raccontate già poco prima, replicava spesso le stesse frasi in un periodo, gli stessi periodi in una frase. In questa parte i traduttori avrebbero reso miglior servigio a lui e a sè medesimi se gli fossero stati alquanto infedeli; e dico a sè medesimi perchè chi non ha innanzi gli occhi il testo inglese, o chi non lo intende, rare volte perdona al traduttore le mende dell’autore.

Tale servigio avrei voluto io rendere a me stesso e agli editori che m’hanno affidato l’incarico di questa versione, e ho fatto il possibile a tal uopo senza per altro rendermi, a mia saputa, colpevole di veruna alterazione dell’originale. Ma i casi delle trasandature dell’indicato genere da riparare erano sì frequenti che ne avrò forse sfuggita una e sarò caduto in un’altra.

Spero ciò non ostante di aver raggiunto uno scopo che per me è sempre il primo: quello di serbare la chiarezza del testo e possibilmente la forza dei concetti. Rispetto ai termini di marina io non ho mancato di consultare il reputatissimo vocabolario del chiaro nostro defunto italiano, il senatore Stratico. Ove ho creduta utile qualche nota non l’ho omessa, giacchè l’autore non ne ha posta di sorta alcuna se non quelle che fanno seguito al giornale di Robinson, ed entrano quindi nel corpo dell’opera.

[p. xi modifica]Certo la mia fatica è stata maggiore che nol fu nel tradurre Tom-Jones gli Ultimi giorni di Pompei e Nostra Donna di Parigi. Ma, benchè io non disperi che questa mia versione del Robinson regga più che sufficientemente al confronto almeno di quante italiane ne sono state finor pubblicate in Italia, credo d’operare consigliatamente se prego nel caso presente il pubblico ad essermi generoso di compatimento come lo fu in casi diversi d’un gentile aggradimento a troppo chiari indizi manifesto.


Gaetano Barbieri.





* Le quali parole dettate dal chiarissimo traduttore ben dimostrano lo zelo e le onorevoli fatiche da lui fatte sul testo trascurato anzi che no; e noi per viemeglio appagare a’ crescenti e gloriosi desideri de’ più rigidi cultori della buona lingua, demmo pur carico a valoroso nostro letterato di meglio chiarire e italianamente esprimere i concetti originali dello scrittore inglese, sempre rispettando la giustamente pregiata traduzione di Milano.


Gaetano Nobile.